sabato 29 novembre 2014

Giorno 3: la California



Una delle esperienze più importanti della mia vita. Quella che mio padre continua a rinfacciarmi, anche se avevo 27 anni e di anni ne sono passati parecchi, ma lui non dimentica.
"Ci hai lasciati nella merda" e aveva ragione. C'era molto lavoro, ma io presi l'aspettativa e andai.
Sapevo che un'occasione così non mi si sarebbe presentata più.
La maggior parte dei treni della vita passano una sola volta, l'ho sempre saputo.
Andai via senza sapere quando sarei tornata.
Non avevo mai preso un aereo prima di allora, ma 15 ore di volo furono una passeggiata. Ero troppo curiosa, entusiasta, desiderosa di vivere per lasciarmi prendere dal panico.
Arrivai a Los Angeles ma rimasi inizialmente delusa. Mi aspettavo una città elegante come NY, mi trovai in un posto più simile al Sud America. Automobili degli anni 70, strade a molte corsie ma poco curate.
Ci misi un mese ad innamorarmi di Lei (El Ei) , ma quando accadde fu per sempre.
Andai a scuola, trovai un lavoretto, qualche amico ma soprattutto trovai me stessa. Niente come la solitudine unita alla bellezza sconfinata aiutano a trovarsi. E le giornate trascorse davanti all'oceano incazzato fecero molto.
Ci andai con le persone sbagliate - fossi andata da sola o con Giorgio a quest'ora sarei ancora lì - e tornai dopo 6 mesi, da sola. Ma con una forza che soltanto lì mi accorsi di avere. Una consapevolezza che non mi ha lasciata più.
Non dimenticherò l'aria leggera che non sapeva di niente, il rumore dell'oceano anche a chilometri di distanza. Le colazioni al tavolo con Robbie Williams nel baretto a West Hollywood... L'appartamento su Sunset Boulevard. La 26esima strada a Santa Monica dove lavoravo come baby sitter. La scuola ebrea su Crescent High e poi quella "pubblica" sulla Lincoln a Santa Monica. I compagni di classe che "sbavavano" quando parlavo in italiano, lingua che alle loro orecchie doveva suonare proprio bene.
E poi i viaggi... La Pacific Coast fino a San Francisco. L'indimenticabile Joshua Tree e il masso su cui mi addormentai. La piscina nel deserto... di notte. L'incredibile Grand Canyon e la vertigine nel guardare giù. Fu un'emozione che per poco non mi scoppiava il cuore... Piansi tutta la mia impotenza davanti a una simile maestosità.
L'accecante Las Vegas e di nuovo l'oceano. I cerbiatti a Topanga Canyon.
La calabrese Malibu.
Un desiderio di tornarci che non mi abbandona più.

venerdì 28 novembre 2014

Ultimo mese da trantanovenne: giorno 2

Mia nonna.
Mia nonna che per me non rappresenta solo una donna, una madre elevata al quadrato, ma anche un angolo di questa Terra al quale mi sento molto legata. Che se qualcuno mi chiede di dove sei, io pur essendo nata e (ahimé) cresciuta a Milano e avendo un padre siciliano, dico: CALABRESE.
Mia nonna Maria e la Calabria.
Lei che quando veniva a Milano, dormiva in camera con me.
Sapeva che soffrivo di solitudine, che dormire in camera da sola l'ho sempre vissuto come una punizione, allora ogni tanto veniva, per farmi dormire serena.
La sua presenza doveva rasserenare anche mia madre, che proprio in quei giorni smetteva di praticare lo sport di quei tempi: malmenare i figli per placare le proprie isterie.
Nonna Maria, che bloccava mia madre con uno sguardo, per me era la regina del mondo.
Quando andavamo a trovarla in Calabria, tutte le estati e a volte anche a Natale, appena ci vedeva sbatteva due uova.
"Comu siti scarsi, mari figghioli..." diceva, osservando preoccupata i nostri visi color verde/milano.
Il suo compito era di farci ingrassare - al più presto! - e prendere colore. Nutrirci di pipi chini,  pruppettedde e pasta e fagioli, delle sue risate senza ritegno (tutto ciò che mi  è rimasto di lei) e i profumi dell'aria...
Profumi bianchi, al gelsomino.
Profumi verdi, al bergamotto.
Profumi blu, all'acqua di mare.
Non un mare qualunque: IL Mare.
Mia nonna che era anche mare, oltre che terra e madre, quel mare che esiste solo lì, sulla punta più estrema dello stivale.

Mia nonna che rappresentava la forza, la potenza.
Mia nonna che non aveva paura di nulla. Che non ebbe paura di morire, a ottant'anni. Si comportò come aveva sempre detto: "quandu voli u signuri, sugnu cà".
Dormì due giorni, poi con un vortice d'aria fresca che buttò per terra i fiori, si liberò.
Solo allora realizzai la più atroce delle verità.
A 19 anni.
Se era morta lei, che era la persona più forte del mondo, allora saremmo morti tutti.
Ma mi guardai allo specchio e anziché il mio volto, incontrai quello di mia madre.
Mia madre si guardò allo specchio, e ci trovò sua madre.
Un ciclo si era concluso alla perfezione.
Aveva sempre venduto garofani sull'uscio di casa, mia nonna.
Quando se ne andò, decise di farlo con i fiori.

giovedì 27 novembre 2014

Ultimo mese da trentanovenne: giorno 1



Ieri mi sono resa conto che quello che è appena iniziato, è l'ultimo mese da 39enne.
So che tra un mese la mia vita non sarà diversa - graziaddio - però il passaggio dai 30 ai 40 anni mi incupisce da un paio d'anni.
40 porca vacca, QUARANTA.
E io che me ne sento 25, che grazie al cielo ne dimostro quarant-trent-venticinque (lasciatemi delirare).
Comunque ho deciso di scrivere ogni giorno un ricordo di questi miei primi quarant'anni, per salutarli come meritano. Perché nonostante tutto, sono stati anni benedetti. Molto vivaci, emozionanti, ricchi di soddisfazioni e delusioni. Un'altalena senza la quale non mi sarei potuta sentire tanto viva e vulcanica e pazza e malinconica.
Il ricordo più potente di tutta la mia vita, è proprio quello che per anni ho giurato di voler dimenticare. Il più doloroso di tutti. Un dolore fisico atroce, inimmaginabile, che mi ha quasi mandata al creatore, ma che in tutta onestà... rivivrei.
Perché mi ha portato Lei: la mia prima figlia, l'emozione più travolgente della mia vita. Questo esserino vivo, con due occhi enormi che è uscito da me, vivo!, e mi ha guardato negli occhi. Aveva un viso che mai avrei immaginato - non mi somigliava per niente - i capelli neri, che dico?!, una MONTAGNA di capelli neri, due occhi che erano tutta pupilla, anch'essa nera. Le gambe lunghe, la pelle arrossata, lo sguardo incazzato.
Giorgia Maria e la sua nascita.
Il ricordo più potente dei miei primi quarant'anni.