lunedì 26 ottobre 2015

Il buio oltre la siepe



Avevo letto di questo libro da qualche parte. Sentito dire che Obama ne consigliava la lettura. Era in lista, prima o poi l'avrei acquistato. Ma un giorno me lo trovai davanti alla cassa di una libreria. Stavo pagando tre libri, e senza neanche pensare aggiunsi al conto anche questo.
Ha sonnecchiato per un paio di mesi insieme agli altri libri sul mio comodino, nel frattempo avevo iniziato "Cime tempestose". Ma poi un'amica di Facebook mi dice che avrebbe iniziato a leggerlo. Se ne aggiunge una seconda, dicendo che lo avrebbe riletto. Che era un libro meraviglioso. Così metto da parte Cime (con la benedizione di Emily, ne sono certa) e inizio la lettura, senza conoscerne la trama.
Mi ha RAPITA alla seconda pagina.
La storia è molto semplice, scritta con una delicatezza unica. Due fratellini che vivono in Alabama, due bambini molto saggi per la loro età nonostante le marachelle. Lentamente si scopre il motivo di questa loro elevatezza. Arriva in punta di pieni, con discrezione, senza mai alzare la voce. Con umiltà e rispetto. Eccolo il motivo di tale grandezza: il padre.
Atticus, un uomo dagli enormi valori morali che non sbandiera ai quattro venti ma sussurra. Senza sbraitare, senza imporsi. Atticus, il personaggio maschile del secolo. Un uomo che non si può non amare. Un uomo che nella mia personale classifica dei personaggi maschili dei libri, li batte tutti. Perfino Dantes. Non è il personaggio principale, eppure una sola delle sue poche frasi vale molto più di molti libri messi insieme. Ed è un personaggio che mi mancherà. Mi mancherà da morire. Chiunque può imparare qualcosa da lui, uomo, donna, bambino. Chiunque deve concedersi la gioia di conoscerlo.
Libro stupendo, che negli USA fanno leggere nelle scuole - dovrebbero farlo anche qui da noi, visto il drammatico periodo storico in cui viviamo e la svolta razzista che sta prendendo la nostra società- per lo stile impeccabile e il messaggio potente se pur solo sussurrato.
Perla indiscussa della letteratura mondiale, lo consiglio fortemente.

martedì 20 ottobre 2015

S. addio



Un giardino curato.
Molta gente accanto a un pergolato, un silenzio assordante. Solo il fluire dell’acqua dal ruscelletto, le rose del deserto ai miei piedi, mille piccoli segnali di cura, dedizione, amore, verso quel giardino zen. Verso tutti quelli che ti circondano, perché tutti piangono. Piango anche io, che non sono che la figlia di un vicino di casa e pensavo di conoscerti appena, pensavo mi fossi indifferente, in fondo non ci eravamo scambiati più che qualche buongiorno, buonasera. Ma sempre con gentilezza. Sempre con uno sguardo limpido.
Da quando ho saputo della malattia, ho iniziato a preoccuparmi per te, a sperare che non fosse così grave. Ti incrociavo alla Esselunga, eri sempre un po’ più magro ma sereno. Quando ti vedevo fumare mi rasserenavo anch’io.
Quando mia madre mi disse che ti avevano operato e che forse non ti saresti svegliato mai più, ho iniziato a piangere. Incontravo i tuoi familiari che andavano e venivano dall’ospedale, e nascondevo  le lacrime dietro gli occhiali. Il mio padre spirituale dice che so ascoltare gli angeli, e io non so se questo è vero, ma so che sentivo un contatto con te. Sapevi che non ci sarebbe stato ritorno, ma eri sereno. Contrariato, perché ancora giovane, ma sereno. Il tuo cammino su questa terra si era compiuto, avevi visto i tuoi figli crescere e i tuoi nipoti nascere e sbocciare. Avevi creato un angolo di pace su questa terra inquieta, il tuo presepe era una luce sul mondo. Come il tuo giardino, visto da vicino solo quest’oggi, al tuo funerale.
Ho sempre criticato chi piange per chi conosce appena ma oggi non riuscivo a trattenere le lacrime. Ripensavo a quel mazzo di fiori al mio matrimonio. Con la tua famiglia vi eravate appena trasferiti nel condominio dei miei genitori, non ci conoscevamo ancora ma sapevate che una ragazza si sposava. Mi regalaste dei fiori magnifici. Oggi pensavo a questa delicatezza, che era la stessa che ritrovavo nei tuoi modi. Che era la stessa che si respirava nell’aria oggi, nel tuo giardino.
Riposa in pace amico mio. La serenità che hai lasciato quaggiù, aiuterà i tuoi familiari a ritrovare presto la felicità. Perché è questo che vuoi. Che loro siano felici. E con la tua benedizione lo saranno.

lunedì 19 ottobre 2015

Il mio pensiero su EXPO 2015



Nell'epoca in cui nulla è più obsoleto di una fiera, in cui la stragrande maggioranza delle informazioni viaggiano in rete, si è sentito il bisogno di creare questo grande evento universale. Vincendo contro la Turchia, ce lo siamo conquistati noi milanesi, che non desideravamo altro. 
Qualche imprenditore edile - non io - inizialmente ebbe un sussulto di felicità, questo mega evento avrebbe portato lavoro in un campo ormai al collasso, così sono arrivate molte aziende a Milano, alcune molto potenti, pronte ad accapararsi il grosso dei lavori. Noi piccoli imprenditori aspettavamo gli avanzi, e invece non si è visto nulla. I lavori sono partiti con estremo ritardo e le grosse aziende, per sopravvivere, hanno soffiato via alle piccole aziende quel poco che era il loro mercato. 
Ma non è sopravissuto quasi nessuno: moltissimi sono falliti a causa dei lavori iniziati soltanto l'anno prima, e comunque non sufficienti a dare lavoro a tutti; però ha sfamato abbondantemente i politici che come sempre in Italia campano su questi grandi eventi. Qualcuno l'hanno pure arrestato, contribuendo a mantenere alta la nostra immagine nel mondo. 
Italiani: spaghetti, mafia e mandolino. Olè.

Per "nutrire il pianeta" - slogan ridicolo di Expo, cha annovera tra i suoi sponsor Mc Donald - sono stati cementificati migliaia di metri cubi di quel verde che è ormai un miraggio a Milano. Si potevano utilizzare le strutture già presenti, ma la logica non fa parte di questa parte di mondo dedita alla devastazione. Cosa ne sarà di quell'area una volta dismessa? Su questo potete giurarci, vi terrò aggiornati. 
E' stata fatta una campagna pubblicitaria impietosa, che non ha risparmiato nemmeno i bambini nelle loro scuole dell'infanzia ed elementari. Matite e tovaglie marchiate Expo hanno invaso quei mondi inviolabili, tanto che mia figlia di sette anni ha iniziato a parlarne e sono stata costretta a portarla per soddisfare una sua curiosità. Siamo andate domenica scorsa, giorno in cui le code all'ingresso dei padiglioni andavano da un minimo di 5 a un massimo di 8 ore e anche nelle aree all'aperto quasi non si riusciva a camminare. Ovviamente la scelta degli ingressi numerati che avrebbero consentito il controllo degli accessi (100.000 persone al giorno sarebbe stato un numero decente, non 250.000) sarebbe stata troppo intelligente per un paese come l'Italia, degno del peggior Medioevo.
Avrei dovuto seguire il mio istinto e risparmiare a mia figlia una delusione. Quella di andare in un parco giochi senza divertimenti.

Expo, sei l'ennesima vergogna italiana.

lunedì 5 ottobre 2015

Cronache di una pubblicazione






Ho concluso il libro. Il terzo, quello che avevo in ballo da mezzo secolo e che non riuscivo a terminare. Ho approfittato delle lunghissime ferie che mi sono concessa quest'estate - anche la crisi economica ha i suoi vantaggi - per portarlo a compimento. Un mio amico scrittore, Mario, l'ha riletto e corretto. Mario è un uomo senza peli sulla lingua, mi aspettavo che mi dicesse che sì, l'aveva trovato carino, invece mi dice che gli è piaciuto molto. Non è uno che si lascia andare a complimenti, e la parola molto è qualcosa che difficilmete sono riuscita a scucurgli. L'ha letto mio marito, è la prima volta che legge un mio libro da cima a fondo, e anche se a suo dire ha sofferto in qualche punto - è un romanzo che celebra il nostro incontro ma che parla di tutt'altra terribile storia - gli è piaciuto. Lo ha letto il mio amico Francesco, e lo ha riletto tre volte di seguito per quanto gli è piaciuto. Lo ha letto il mio angelo custode vivente - Pagel - ma lui è di parte. L'ha divorato in un pomeriggio e lo avrebbe apprezzato anche se lo avesse trovato insignificante. Lo ha letto un mio amico scrittore, mentre io leggevo il suo incantevole inedito. E' piaciuto molto anche a lui. Dice che alla fine è rimasto senza fiato.

Mi rendo conto mentre scrivo che l'ho fatto leggere solo ad amici uomini, ma forse amiche donne non ne ho. Il fatto che piaccia a loro mi rincuora. Significa che non ho scritto un romanzetto rosa - io ODIO i romanzi rosa, come la maggior parte degli uomini, credo - ma quando c'è di mezzo l'amore il rischio si corre. Grazie al cielo i miei  sforzi non sono risultati vani.
Superata questa piccola prima prova, mi rendo conto di non avere tra le mani un Harmony. Sto provando a piazzarlo decentemente, ma dio solo sa quanto sia difficile e scoraggiante.
Ho contattato alcuni agenti, la prima che mi ha risposto è la Meucci, un'agente che riceve manoscritti il primo di ogni mese, nell'arco di due minuti a partire dalla mezzanotte. La prima volta non feci in tempo a inserire tutti i dati. La seconda ci ha provato Giorgio che con un tempo record di 45 secondi netti mi ha concesso di vivere l'edificante esperienza di ricevere un rifiuto nel giro di 11 ore. Risposta: aveva già un romanzo dal tema troppo simile da seguire. E va be'.
Ho scritto a varie major, una di queste mi ha chiesto la versione cartacea in lettura e mi sembra un ottimo segnale. Ma da qui a 4 mesi cosa farò?
C'è da diventare pazzi a fare gli scrittori oggi giorno. Pazzi compleamente.

venerdì 2 ottobre 2015

2 ottobre: festa dei nonni

Nonna Maria, mia nonna. Una donna forte, lo sguardo severo e un sorriso gioioso. Circondata da fiori e dai nipotini trascorreva le sue estati tra una seggiolina su cui preparava i mazzetti di garofani e la cucina. Pipi chini e pruppetteddi al ritorno dal mare. Ogni sera dovevamo sfilarle davanti prima di uscire, doveva essere certa che i suoi nipoti fossero i più fashion di Melito. Nonna Maria e i suoi sorrisi con la mano davanti, i suoi occhiali che toglieva solo per minacciarci con lo sguardo quando eravamo incontenibili, la permanente brizzolata, i suoi grembiuli a fiori. Altro che nonne moderne vestite da cat woman. 

Nonno Mico. Un passato da attore mancato, i suoi capelli bianchi con l’onda sempre impeccabile, la schiena dritta anche quando la silicosi – eredità di una vita bruciata nelle miniere – lo soffocava. Nei ricordi più lontani lo vedo arrivare sul suo ciao amaranto con una montagna di garofani dietro il sellino. In quelli più vicini se ne sta seduto sul divano, la tv accesa ma gli occhi estasiati su mia nonna. L’ha adorata fino alla fine. Ogni tanto vedeva la Madonna e alcuni racconti narrano le sue fughe al mendulari; quando c’era un terremoto, si rifugiava sotto un mandorlo. Dicono che abbia battuto la testa da giovane, per questo ogni tanto andava in corto. Ma vista la follia che aleggia sulla sua famiglia (che poi è anche la mia) direi che forse era proprio così, anche senza colpo in testa.


Nonna Rosa… l’ultima volta che l’ho vista avevo poco più di un anno. La ricordo nelle foto da anziana, con gli occhiali e lo sguardo buono. Uno chignon bianco. Nella foto che ho in camera invece è una donna giovane e forte, lo sguardo fiero, il volto che assomiglia impressionantemente al mio, incorniciato in una capigliatura bruna. Di lei so che era una donna molto dolce. In tempo di guerra ospitava gli sfollati e offriva loro quel poco che già divideva con i suoi nove figli. In realtà ne aveva partoriti dieci ma la prima figlia morì che aveva pochi mesi, e da vecchietta – anche se Rosaria non c’era più da mezzo secolo – mia nonna la cullava. Aveva nove figli, venticinque di nipoti, ma lei cullava quella bambina perduta.

Nonno Ciccu, l’ultima volta che l’ho visto mi mancavano tredici anni per nascere. Chissà perché i nomi dei nonni li abbreviavano e quelli delle nonne no? Ovviamente i miei nonni maschi si chiamavano Francesco e Domenico come i miei fratelli. Io sono una Rosa Maria mancata, ma ho recuperato con i secondi nomi delle mie figlie.